Sopravvivere per trasportare cibo: la storia degli Spalloni

di Kyt Lyn Walken

Una lapide, posta in un luogo inaccessibile come il Passo Mondelli (2893 metri), a nord di Macugnana, ricorda i nomi di dieci Spalloni.

Uomini dalle età e provenienze diverse, e caduti in altrettante diverse epoche, ma accomunati da un tratto – quello di essere stati trasportatori di cibo, e di altri beni di prima necessità, al di là del confine, lassù, in mezzo alle montagne, verso il territorio elvetico.

Li chiamavano gli Spalloni, perchè trasportavano un enorme zaino a forma di parallelepipedo sulla schiena (la bricolla), ma ogni zona aveva la sua denominazione, a seconda del dialetto di origine.

Erano uomini – ma anche donne – di estrazione povera, a volte poverissima. Erano nati e cresciuti tra montagne che non lasciavano scampo, e sopravvivere era il compito di ogni singolo giorno.

Portare enormi quantità di riso (negli anni a cavallo tra il 1943 e il 1945 questa merce era estremamente richiesta in Ticino e nel Vallese) costituiva una cospicua fonte di denaro: 10 kg, infatti, venivano pagati dagli svizzeri tra i 20 e 25 franchi. Un franco valeva 240 lire. Era più di ciò che un solo paesano potesse immaginare di guadagnare in un intero anno di fatica e privazioni.

Si caricava tutto nella bricolla, si allacciavano stretti gli scarponi, e partivano di notte, per sentieri che oggi rappresenterebbe un rompicampo persino per arrampicatori esperti. 

Ci si faceva largo tra foreste, e poi gole, cenge, aggrappandosi ad un ciuffo d’erba o ad uno sperone di roccia per non cadere. 

Si raggiungeva il valico, e si tirava un sospiro di sollievo. Il ritorno, sgravati da quel peso ingombrante ma così ben pagato, sarebbe stato più lieve.

Intere generazioni si susseguirono su quelle montagne, e la loro memoria è ora affidata a gruppi come “Sentieri degli Spalloni” che hanno preso a cuore le loro storie, e addirittura ripristinato i sentieri e gli itinerari di un tempo.

Ho avuto l’onore e il piacere di parlare con il giornalista Teresio Valsesia, il quale mi ha pazientemente raccontato tutte le gesta – a tratti incredibili, ma testimoniate da tantissime fonti differenti – degli Spalloni. Alcuni di loro riuscirono persino a accompagnare  in Svizzera molti ebrei italiani, garantendo loro la salvezza.

Di quella enorme memoria rimangono ora ricordi, alcune foto, bricolle e scarponi e diversi articoli apparsi su “La Domenica del Corriere“.

E poi rimane il silenzio di quelle montagne, che tutto sanno e che tutto custodiscono.

Noi di Bivo amiamo e rispettiamo il patrimonio storico del nostro Paese, perchè proprio attraverso le lezioni del passato possiamo imparare a confrontarci con il presente con positività e successo. 

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