TREDICI MESI IN MARE APERTO

La storia di Jose Salvador Alvarenga
di Kyt Lyn Walken

Questa storia si collega a quella del nostrano Ambrogio Fogar (di cui abbiamo parlato in questo articolo https://www.completefood.it/quando-limpossibile-diventa-realta-ambrogio-fogar/) con un fil rouge intenso e vivido.

C’è il mare, e ci sono dei naufraghi.

Non c’è però la terraferma, ma solo una distesa immensa, implacabile, non fatta per l’uomo. Contro la quale si deve combattere e, all’occorrenza, vincere.

17 Novembre 2012. Alvarenga, un pescatore trentaseienne professionista di El Salvador, organizza una battuta di pesca al largo delle coste messicane in compagnie del giovane Ezequiel Cordoba, con il quale non ha mai lavorato insieme. I due intendono rimanere al largo per soli due giorni: il loro obiettivo sono squali, tonni e Mahi Mahi (Corifena Cavallina). 

Una tempesta li sorprende, facendo finire i rifornimenti in mare e danneggiando irrimediabilmente i sistemi di comunicazione, stando a quanto riportato in seguito da Alvarenga. Il salvadoregno racconta anche del panico che aveva pervaso il giovane Cordoba, che, quasi non più capace di intendere, aveva tentato di buttarsi in acqua in preda al delirio. 

Il navigato Alvarenga aiuta il giovane a calmarsi e i due riescono a sopravvivere diversi mesi su quello che resta dell’imbarcazione, nutrendosi di pesci, uccelli e bevendo sangue di tartaruga. In assenza, anche la propria urina

La causa del decesso di Cordoba, avvenuta poco dopo, sarebbe, secondo Alvarenga, da amputare al suo rifiuto di mangiare ancora carne cruda: rifiuto che avrebbe condotto ad un rapidissimo deperimento per inedia. Il salvadoregno, avendo promesso al compagno morente di non cibarsi della sua carne, avrebbe vegliato sul corpo per circa una settimana prima di gettare in mare il cadavere.

L’imbarcazione infine raggiunse la spiaggia di Ebon il 30 gennaio 2014. Sulla spiaggia del piccolo atollo, sito nella Micronesia, viene tratto in salvo da una coppia locale. 

Le sue condizioni di salute sono insolitamente buone.

La vicenda di Alvarenga è stata oggetto di un fragoroso caso mediatico, fatto di denunce (da parte della poverissima famiglia del giovane Cordoba, che ha accusato il sopravvissuto di cannibalismo), di fama, di stupore e di incredulità.

Come è andata veramente? Probabilmente, nessuno lo saprà mai.

Il superstite lo ha raccontato in un libro: 438 Days: An Extraordinary True Story of Survival at Sea. Che, tra parentesi, non ha nemmeno venduto quanto sperato.

Voi che ne pensate? Storie difficili hanno contorni intricati e spesso labili nel ricordo dei sopravvissuti.

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